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“UNO STRAPPO NEL CIELO DI CARTA”

“UNO STRAPPO NEL CIELO DI CARTA”

 

“UNO STRAPPO NEL CIELO DI CARTA”

Dott. Matteo Franchino

 

Tra le immagini più potenti e affascinanti create da Pirandello nel suo celebre romanzo “Il fu Mattia Pascal” c’è quella allegorica di uno “strappo nel cielo di carta”: metaforicamente va a rappresentare la perdita da parte dell’uomo moderno dei valori della tradizione su cui aveva fondato il suo castello di sicurezze.

Adriano Meis, pseudonimo sotto cui si nasconde Mattia Pascal una volta creduto morto, inizia a viaggiare in Italia e all’estero, per poi stabilirsi in una camera ammobiliata a Roma, presso la pensione di Anselmo Paleari. Quest’ultimo è un pensatore eccentrico, completamente estraniato dalla realtà che lo circonda; un teatro di marionette a Roma, che rappresenta una riduzione dell’Elettra di Sofocle, diventa il punto di partenza da cui partire per elaborare un ragionamento profondissimo: cosa accadrebbe, si chiede Paleari, se proprio nel momento in cui sta per uccidere la madre, la marionetta Oreste venisse distratta da uno strappo nel cielo di carta che fa da sfondo al teatrino, vedendo crollare le proprie certezze?

«-Se, nel momento culminante, proprio quando la marionetta che rappresenta Oreste è per vendicare la morte del padre sopra Egisto e la madre, si facesse uno strappo nel cielo di carta del teatrino, che avverrebbe? Dica lei.-

– Non saprei, – risposi, stringendomi ne le spalle.

–Ma è facilissimo, signor Meis! Oreste rimarrebbe terribilmente sconcertato da quel buco nel cielo.

– E perché?

– Mi lasci dire. Oreste sentirebbe ancora gl’impulsi della vendetta, vorrebbe seguirli con smaniosa passione, ma gli occhi, sul punto,  gli andrebbero lì, a quello strappo, donde ora ogni sorta di mali influssi penetrerebbero nella scena, e si sentirebbe cader le braccia. Oreste, insomma, diventerebbe Amleto. Tutta la differenza, signor Meis, fra la tragedia antica e la moderna consiste in ciò, creda pure: in un buco nel cielo di carta

Innanzitutto va fatta un’osservazione: il riferimento a una tragedia rappresentata in un teatrino di marionette non è casuale. Allegoricamente le marionette vanno a rappresentare l’alienazione dell’uomo, che vive e si muove meccanicamente, fino a che un evento ne sconvolge quelle che sono le presunte certezze. Per Pirandello, la nostra personalità è una costruzione fittizia, allo stesso modo della realtà che ci circonda.

Basta un nulla per mettere in crisi tali costruzioni: come lo strappo che si produce nel cielo del teatrino. Il cielo falso è considerato come vero dalla marionetta. Lo “strappo” improvviso ne svela la bugia e la marionetta entra in crisi. Non riesce più a portare avanti la sua “parte”, perché la denuncia di quella falsità la costringe a vedere in modo nuovo se stessa e la realtà. Le sue abituali certezze si dissolvono ed essa è destinata alla paralisi: perché il nostro agire è possibile solo finché crediamo alle nostre costruzioni.

Lo “strappo” è l’incidente casuale e banale che ci riempie di dubbi, l’avvenimento imprevisto che ci paralizza. Capace di mostrarci la realtà per quel che è e mettere in crisi i consueti punti di riferimento e contesti, che si mantengono in vita finché funzionano i meccanismi teatrali e le convenzioni, ma quando questi vengono a mancare si sfaldano. E noi restiamo smarriti.

E cosa succederebbe alla marionetta di Oreste?
Si fermerebbe sconcertata, bloccata, incapace di portare a termine il proprio proposito, poiché perderebbe la sicurezza che gli consentiva di agire senza esitazioni. Oreste diventerebbe Amleto: non più l’eroe classico, capace di gesti risoluti e propenso all’azione, ma il moderno anti-eroe, travagliato dal dubbio e bloccato all’impasse di una scelta.

Conclude poi Pirandello facendo parlare Adriano Meis:

«Beate le marionette su le cui teste di legno il finto cielo si conserva senza strappi! Non perplessità angosciose, né ritegni, né intoppi, né ombre, né pietà: nulla! E possono attendere bravamente e prender gusto alla loro commedia e amare e tener se stesse in considerazione e in pregio, senza soffrir mai vertigini o capogiri, poiché per la loro statura e per le loro azioni quel cielo è un tetto proporzionato»

 

Immagine di copertina tratta dalla scena finale del film “The Truman show” (1998)

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